Come Napster ci ha reso la generazione pirata
Ovvero quando una generazione scoprì improvvisamente di poter scaricare qualunque brano da internet senza conseguenze
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In questi giorni alcuni giornalisti si sono accorti che su Telegram ci sono canali dedicati alla distribuzione gratuita dei PDF di riviste e quotidiani, sono canali aggiornati con precisione certosina e sono solo una piccola parte di una galassia fatta di libri, fumetti, manuali, film e audiolibri a portata di chi abbia le conoscenze giuste o un po’ di voglia di cercare. Una scoperta (ben svegliati!) che conferma una teoria che porto avanti da tempo: Telegram in questo momento è la cosa più vicina all’internet che fu.
L’internet che ha forgiato una generazione “transgenerazionale” che abbraccia Gen X, Millennial e anche qualcuno venuto dopo: la Generazione pirata.
Prima che nove euro mi dessero l’accesso a un catalogo musicale praticamente infinito, in cui alla fine mi ritrovo ad ascoltare solo musica to study/relax to, la musica era una questione di ingombro e di costi che spesso un ragazzo non poteva affrontare a cuor leggero e non lo era mai stata.
Mio padre mi raccontava che quando era giovane lui i vinili erano qualcosa di molto vicino a una chiave magica: se ne possedevi abbastanza diventavi improvvisamente l’anima della festa, chi aveva la fortuna di potersi far mandare dagli Stati Uniti o dall’Inghilterra l’ultimo dei Troggs, di Hendrix o degli Iron Butterfly era visto come una specie di messia. Durante la mia adolescenza l’accessibilità era decisamente migliorata, prima con le cassette, poi con i CD e una volta avere lo stereo in camera era quasi più importanti dell’avere la televisione.
Mi sorprende oggi ricorda quanta radio ascoltassi da ragazzo prima dell’arrivo di MTV, il mio pomeriggio era diviso tra radio locali di scherzi telefonici e Radio Deejay, sempre con l’orecchio pronto a far partire la registrazione della cassetta non appena partiva la canzone che volevo riascoltare.
Questo cosa ci dice? Che se un ragazzo vuole fare qualcosa ma non ha i soldi per farla trovare comunque un modo. E quel modo a un certo punto diventò Napster, grazie a un gruppo di studiosi tedeschi e a qualche colpo di scena.
Emmepitre
Karlheinz Brandenburg è un ricercatore della Ilmenau Technical University del Fraunhofer Institute for Digital Media Technology, ed è esattamente qua che nasce all’inizio degli anni ’90 l’mp3, ovvero una delle possibili risposte alla domanda: come trasferisco una ingente mole di dati a una velocità irraggiungibile per l’internet di allora?
L’mp3 fu una delle possibili risposte, ma fu inizialmente snobbato in favore dell’mp2 che non era un formato sviluppato precedentemente, ma in parallelo, e che si aggiudicò il primato dei principali standard di riproduzione dell’epoca a discapito delle ricerche di Brandenburg. Lo studioso tedesco ovviamente la prese benissimo, ancora oggi se gli chiedete il perché di questa decisione probabilmente vi attacca un pippone sulla politica e le mafiette degli standard industriali, anche perché dietro l’mp2 c’era la Philips.
Tuttavia, anche se molti investitori avevano staccato la spina, l’mp3 riuscì in qualche modo a sopravvivere grazie ad alcuni contratti e ai pochi che si rendevano conto di quanto fosse migliore rispetto all’mp2. Il formato .mp3 nasce formalmente il 14 luglio del 1995 e il suo modello di business è semplice: fare soldi sulla licenza software degli encoder mp3 e distribuire gratuitamente i decoder, ovvero i software con cui ascoltare la musica. Il primo software di encoding si chiama l3nc, mentre il decoder è WinPlay3 e ha un’interfaccia decisamente meno carina di WinAmp, che arriverà due anni più tardi.
Software gratuito, incredibile eh? Those were the days.
Comunque, già qua la storia degli mp3 si fa piratesca, perché un bel giorno un ragazzo australiano acquista l3nc con una carta di credito rubata, lo smonta, guarda dentro il codice, lo rimonta come piace a lui e lo distribuisce gratuitamente col nome di “thank you Fraunhofer”.
Brandenburg e i suoi soci cercano di arginare la situazione, ma ormai il fuoco è stato acceso ed è pronto a propagarsi rapidamente in tutto il mondo, prima con forme di distribuzione molto semplici, tipo Progetto Prometeo di cui vi ho già parlato, o altri archivi simili, ma tutto cambiò con l’arrivo di Napster.
È difficile oggi spiegare cosa rappresentava Napster per un adolescente di quegli anni con accesso a un computer, che fosse a casa, a scuola o all’università. Era come trovarsi improvvisamente dentro il più grande negozio di musica al mondo, ma non era un negozio, perché nessuno ti avrebbe chiesto dei soldi per ciò che compravi. Nessuno di noi fino a quel momento si era trovato di fronte a una possibilità del genere, al senso di libertà e di proibito di scaricare da internet tutta la musica che fino a qualche giorno prima avresti dovuto pagare.
Il giorno in cui diventammo Dio
Napster nasce a maggio 1999 al termine di una maratona di coding grazie a Shawn Fanning e al suo incontro fortuito con Sean Parker, ovvero uno che cercava di fare soldi con internet e che poi si è trovato anche dentro Facebook. Il concetto di Napster era semplice quanto geniale ed è ancora oggi usatissimo: peer to peer. Invece che fa risiedere i file in grandi archivi online ogni utente mette a disposizione il suo archivio e gli altri prendono direttamente da lui. Qua sotto potete vedere Fanning presenziare ai Video Music Awards del 2000 con una maglietta dei Metallica. SAVAGE.
In pochissimo tempo fa registrare la più veloce diffusione mai vista al mondo per un software. Dopo cinque mesi al suo interno ci sono già 4 milioni di canzoni a marzo del 2000 gli utenti sono 20 milioni. Oggi sembra un numero modesto, all’epoca era probabilmente la quasi totalità delle persone tra i 15 e i 30 anni con un PC.
E grazie al fatto che un mp3 pesa pochi megabyte, invece di metterci una giornata, nei momenti buoni puoi scaricare un album in un’oretta, se tua madre non alza il telefono.
La musica, quella cosa che compravi dopo averci pensato su per giorni interi, magari dividendo la spesa con gli amici, quella cosa che fino a quel momento collezionavi in pile di CD, ascoltavi su cassette piene di pubblicità e finali sfumati o in TV, senza poter decidere la playlist, aveva cambiato forma.
Adesso era una sequenza di 0 e 1 e improvvisamente tutti potevamo avere tutto. Tutti eravamo l’anima della festa dei party anni ’70 di mio padre. Se poi avevi uno dei primi lettori mp3, che tenevano al massimo una ventina di pezzi, eri il messia, se avevi un masterizzatore eri Dio.
Per molti quello fu il primo impatto col mondo della musica, un mondo gratuito dove l’ascolto era già frammentato in mille compilation. E la musica, fra tutte le forme di espressione dell’uomo, era senza dubbio quella che meglio si prestava alla digitalizzazione, i file erano piccoli e per molti l’esperienza era identica, semplicemente la musica arrivava dalle casse del PC (che di solito erano due brutti così bianchi alti una spanna della Creative)
Quale fu la prima canzone che scaricai da internet? Difficile dirlo. Probabilmente All Star degli Smash Mouth, o forse My Name Is di Eminen o Beautiful Stranger di Madonna. The Bad Touch? Forse. Di sicuro scaricai 9pm Til I Come e perché non Learn to Fly? Probabilmente non Hey Boy Hey Girl, perché avevo il CD. Mi piace pensare che sia stata Sandstorm di Darude.
Non ci fu un momento di transizione, un momento prima non c’era e quello dopo avevi accumulato centinaia di mega di musica di ogni tipo, anche roba che forse non avresti mai ascolta, anzi, soprattutto roba che non avresti mai ascoltato. Perché? Perché potevi farlo.
Là si cemento in milioni di persone il concetto che se era su internet era gratis, un concetto pericolosissimo che ovviamente fu combattuto con tutta la potenza di fuoco possibile. Anche perché nel 2000 l’industria musicale registrò il primo calo delle vendite e questo spaventò le case discografiche. Inizialmente ci fu un ban selettivo di alcuni artisti. Ad esempio, se volevi scaricare i Metallica, anche soloper sfregio alla loro lotta contro Napster, dovevi cercare M3t4lli1ca o Metall!ca o magari storpiature tipo Metalica o addirittura Matelica.
Poi arrivarono le cause contro i singoli utenti e contro i creatori di Napster che fu costretto a chiudere nel febbraio del 2001, anche perché come attività fu un fallimento, non generò alcun guadagno se non per le magliette col logo e tutti gli investimenti finirono in cause.
Dopo solo due anni di vita in cui aveva presto tutti di sorpresa il ribelle dell’internet fu ucciso, per poi rinascere in una versione ripulita e legale che non interessava a nessuno. Anche perché nel frattempo il mercato della musica era cambiato grazie a iTunes e poi sarebbe cambiato ancora. Non a caso poi Parker investirà in Spotify e là farà i soldi veri.
Le ultime ore di Napster furono come la Caduta di Roma: milioni di utenti in tutto il mondo cercarono di arraffare gli ultimi tesori prima di fuggire, poi tutte quelle barre di caricamento fissate intensamente in quei due anni si fermarono per sempre.
Ma come insegna Ian Malcom in Jurassic Park, la vita trova sempre una strada e lo stesso vale per la pirateria. Morto Napster i servizi si moltiplicarono, adottando la strategia dei contrabbandieri: se mandi 10 corrieri pieni di sigarette di contrabbando sai che possono prendere qualcuno, ma non possono prendere tutti. Inoltre, le battaglie legali cominciarono a puntare sul fatto che le piattaforme non hanno controllo sui contenuti e, di base, non puoi multare una autostrada per gli incidenti.
Chiudere la stalla dopo che i buoi sono scappati
Dopo Napster arrivarono altri sistemi che sfruttavano il sistema peer to peer e il più diffuso fu probabilmente Gnutella, ovvero una rete decentralizzata di scambiò file che arrivò a toccare il 40 percento del settore. Gnutella fu sviluppata da Justin Frankel e Tom Pepper, gli stessi creatori di Winamp. Su Gnutella si basavano Morpheus (sono gli anni di Matrix, dopotutto) BearShare, Shareaza e il fratello più famoso: LimeWire, un software che finì per essere installato su un terzo di tutti i PC del pianeta
E poi Soulseek, Ares Galaxy, WinMX, che offriva anche un servizio di chat tra gli utenti, ma volendo anche i canali IRC in cui c’erano utenti con centinaia di migliaia di megabyte di musica che venivano considerati semidivini e accolti con osanna ogni volta che si collegavano e ti permettevano di suggere dalla loro tetta musicale e chi si ricorda di Audiogalaxy? Era una specie di servizio ftp con un client personale, più rozzo di Napster ma comunque efficace.
E poi… beh poi la velocità di internet aumentò e non furono più solo canzoni ma videogiochi e film, anche perché nel 2000 arrivò la rete di eDonkey e nel 2002 fu perfezionata con eMule, ma questa è una storia per un’altra puntata.
Gli anni di Napster generarono anche un interessante dibattito sulla pirateria, un dibattito spesso polarizzato tra due estremi: i sostenitori dello scaricamento a tutti i costi e chi li considerava dei criminali. Tra queste due visioni stava Napster, una gigantesca zona grigia.
Di sicuro la pirateria non fa bene agli artisti, o almeno non lo fece in quegli anni, ma è anche vero che la pirateria va spesso a toccare quelle persone che non avrebbero comunque comprato quella cosa e, in alcuni casi, permette loro di scoprire generi, artisti e canzoni che fino a quel momento ignoravano. Sul tema della pirateria c’è un bel libro che vi consiglio: Free.
La pirateria non è quasi mai un nobile gesto politico contro il copyright, ma il semplice gesto di avere qualcosa che non puoi o non vuoi comprare e che impedisce un guadagno immediato a chi quella cosa l’ha creata. Tuttavia, all’età giusta può cambiarti la vita e sono molti i casi in cui gli avidi scaricatori di quegli anni si sono poi trasformati in persone che hanno reso qualcosa agli artisti che avevano scoperto collezionando CD, vinili, DVD e andando a cinema e concerti. In questi giorni di Covid molti stanno regalando libri, fumetti, videogiochi e canzoni, spesso sono cose uscite da molto tempo ma che hanno lo stesso obiettivo: far conoscere cose e creare nuovi clienti.
La pirateria è spesso anche una reazione, un sistema di auto-equilibrio, appare quando chi gestisce i contenuti si allarga troppo. Per molti anni sistemi come Netflix l’hanno resa quasi obsoleta (ma fondamentale per certi generi meno mainstream) e oggi che ci sono mille piattaforme diverse sta tornando perché la gente vuole vedere le serie tv, ma non sempre è disposta ad abbonarsi a cinque servizi differenti.
Molte delle persone che scaricano i pdf dei quotidiani probabilmente non li comprerebbero comunque, neppure con un paywall a un euro per tre mesi. Negli anni di Napster abbiamo assaporato l’internet del tutto gratis e finché non saremo sostituiti dalla generazione cresciuta dentro i recinti dei social network e con le microtransazioni sarà dura farci cambiare idea.
Sarà stato uno schifo, sarà stato illegale, ma Napster ha cambiato la musica per sempre, ha cambiato internet per sempre, ne ha mostrato le potenzialità e ha dato una svegliata al settore come è successo in molti altri ambiti. Il problema è che, come spesso accade, dopo questo processo di distruzione e ricostruzione qualcuno guadagna molto meno, di solito gli artisti, mentre le case discografiche oggi sono molto più attente, come sa bene chiunque voglia fare un video buffo su YouTube e se lo trova bloccato per questioni di copyright.
Con questa immagine di K.K. di Animal Crossing in versione Napster vi saluto, anche oggi ho scritto troppo e se sei arrivato fin qua ti ringrazio. Se ti va ricordati che puoi leggerti un sacco di bella roba su N3rdcore, seguirmi su Instagram oppure vedere la Rassegna Stanca e le interviste di Star Words su Twitch.