Welcome to Cyberia
Ode agli internet café, senza i quali molti non avrebbero mai scoperto internet negli anni '90.
Cominciamo questa newsletter con le dovute scuse: ho saltato due sabati di pubblicazione perché sono sceso a Firenze e la vita ha deciso di prendersi dello spazio con un attacco a sorpresa che non avevo assolutamente autorizzato, la maledetta. Comunque eccoci qua con una nuova puntata di DA DV DGT!
Oggi fa strano pensare a un mondo in cui la rete non è una presenza costante ma uno spazio in cui entravi volontariamente e per un tempo limitato e che non ti seguiva quando uscivi di casa o dalla stanza in cui era posizionato il PC. Un tempo in cui la distinzione tra reale e virtuale poteva forse ancora avere senso.
La disconnessione una volta non era una moda per gente che poi viene a raccontarti come si sta bene senza la rete, era un processo tangibile, era parte della tua esistenza. Quando avevo 14 anni le mie capacità telecomunicative erano limitate dalla cabina telefonica più vicina, quattro anni dopo il mio accesso a internet ruotava attorno a casa mia o agli internet cafè e ai computer presenti nelle lobby degli alberghi.
Va detta anche una cosa: la disconnessione una volta non ti pesava perché su internet in fondo non c’era tantissimo da fare dopo che avevi dato un’occhiata alla posta e ai siti d’informazione, al massimo salutavi gli amici dei forum e tornavi in spiaggia. La disconnessione una volta era la norma, perché anche con le Summer Card gli SMS li contavi uno a uno e all’estero il telefono era bandito.
Tuttavia, gli internet cafè diventarono presto una moda, un vezzo e un modo per esplorare internet con pochi spiccioli, magari per un’oretta. Questo vale soprattutto per le grandi città, quelle in cui le persone si ritrovano di fronte a un beverone marrone per scrivere la storia della loro vita o trasformarla in una commedia romantica. In provincia al massimo ci trovavi il tizio che incrociavi nel negozio di giochi di ruolo che ci provava in chat con chiunque sembrasse una donna.
Scherzi a parte, gli internet cafè furono per molti il primo contatto con questo famigerato “internet di cui si parlava tanto e filosoficamente rappresentarono il ritorno dei bar e dei caffè al centro della cultura popolare dopo il tramonto di quelli letterari e prima del trionfo di Starbucks e similari.
Rintracciare il primo Internet Café può essere un esercizio complesso, ma come spesso accade con le cose relative all’internet come strumento condiviso, se guardi in Corea del Sud è difficile che sbagli.
Nel 1988, no, non ho sbagliato, avete veramente letto “1988” infatti apre i battenti il “Junja Kappeh” (perdonatemi errori nella trascrizione) che vuol dire letteralmente “Electronic Cafè”. Ignoro cosa si potesse fare al suo interno, perché Internet non esisteva neppure, ma c’erano dei computer del periodo connessi a una linea telefonica. Pare fosse qualcosa di conosciuto solo dai locali venuto a galla quando qualcuno ha iniziato a ricostruire la storia di quelli che in Corea vengono chiamati “PC Bang”, ovvero “Stanze per i computer”. In Corea i PC Bang sono una vera e propria istituzione ancora oggi e sono da sempre frequentati da chi gioca online a DOTA, LOL, World of Warcraft o altri MMO succhia tempo. Se sentite cose orribili su gente che si è accoltellata per una spada virtuale o bambini morti mentre i genitori giocavano è molto probabile che ti mezzo ci sia qualcuno che bazzica i PC Bang.
Tuttavia, c’è da dire che i PC Bang non sono luoghi carini in cui sorseggi un caffé mentre navighi, ma una serie di cubicoli dall’odore indefinito in cui la gente passa le ore e ogni tanto si alza per andare in bagno o comprare snack da un distributore automatico. Solo ora sono diventati un po’ più fighetti, forse da quando in Corea hanno capito che erano delle fabbriche di abbrutimento.
Qualche anno dopo, nel 1991, a San Francisco nacquero grazie a un tizio di nome Wayne Gregori una serie di caffetterie in cui era possibile connettersi a SF Net, una specie di bacheca cittadina in cui chiacchierare, conoscersi, discutere. Non erano locali appartenenti a una catena, ma semplici bar di zona un po’ fighetti, un po’ bohemien in cui venivano messi dei computer, dei copritastiera per gli schizzi di caffè e si pagavano 50 centesimi per otto minuti di navigazione.
La cosa prese parecchio piede in città, soprattutto tra i più giovani, i beatnik, gli studenti di Berkeley, gli amanti della tecnologia e i frequentatori della scena artistica locale.
Nel frattempo, in Italia io mi ricordo una pizzeria in cui ogni tavolo aveva un minicomputer e potevi ordinare e scambiarti messaggi con gli altri tavoli. Una roba imbarazzante che all’epoca sapeva di futuro.
Nel 1994 a Ivan Pope, uno dei primi “web evangelist”, viene chiesto dall’Institute of Contemporary Art di Londra di creare qualcosa a tema Internet. Pope propone di prendere una caffetteria lussuosa e mettere un computer Apple a ogni tavolo per consultare opere d’arte in attesa della propria bevanda. La proposta ha anche un nome che oggi suona veramente anni ’90: CyberCafé.
E fu quello il primo vero Internet Cafè? No amici miei, ma fu l’idea alla base di Cyberia, che aprì i battenti l’ottobre dello stesso anno grazie a Eva Pascoe e Gene Teare con un intento molto nobile.
Inizialmente Cyberia doveva essere uno spazio in cui le persone, soprattutto le donne, potevano avvicinarsi all’informatica e a internet in un ambiente informale e tranquillo. La Pascoe fu una delle prime figure femminili di spicco nel settore e sapeva che internet era usato da pochissime donne, circa il 3% degli utenti totali, all’epoca. Fu lei stessa a organizzare il corso di HTML. L’idea di usare una caffetteria nasce proprio per tranquillizzare i curiosi ed evitare un luogo che magari poteva spaventare i meno esperti e portarli a sentirsi giudicati.
Il problema fu che poco dopo l’apertura del Cyberia si formò una lunga fila di persone pronte a imparare e scoprire internet, ma erano in gran parte uomini e soprattutto fin troppi per una misera macchina da caffè. Tanto che Pascoe passò il resto della giornata a cercarne una adatta, dopo aver portato la sua. L’idea di renderlo uno spazio per sole donne tramontò prestissimo, tuttavia fu creato un corso serale appositamente per il pubblico femminile.
Da quel momento il fenomeno cominciò a prendere piede, Cyberia aprì caffetteria in tutto il Regno Unito e nel resto del mondo cominciò a diffondersi rapidamente l’idea di questi luoghi in cui poter finalmente sperimentare internet. Nel frattempo il locale di Londra a descriverlo oggi diventò uno dei posti più fighi della Terra da frequentare negli anni ‘90: nel seminterrato del Cyberia London Ivan Pope aveva aperto Webmedia, una delle prime agenzie di web design di sempre, lo spazio era condiviso da Subcyberia, ovvero il ritrovo per chi aveva fatto after ai rave del venerdì sera e si riprendeva mangiucchiando una brioche e giocando ai videogiochi. Tra gli avventori era facile scorgere gran parte della scena creativa videoludica del periodo. Poi c’era lo spazio Transcyberia, un laboratorio nerdissimo che mescolava tecnologia e creatività, artisti, sviluppatori e designer.
Non vi basta? Kylie Minogue ci tenne una conferenza stampa e David Bowie, DAVID FOTTUTO BOWIE non solo ci andava ogni tanto per capire meglio internet ma ci fece anche una performance attraverso BowieNet (progetto di cui poi parleremo).
Ho recuperato anche questo vecchio articolo di RockOl dove si riporta una notizia fantascientifica: al Cyberia di Londra puoi farti la tua compilation personalizzata su CD a 30.000 lire!
Oggi può sembrare qualcosa lontano e simile alle stazioni di posta, al telegrafo o ai paesi in cui l’unico televisore ce l’aveva la casa del popolo, ma oltre ad essere esattamente così gli Internet Cafè hanno svolto un ruolo essenziale nell’alfabetizzazione informatica, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo, dove era quasi impossibile avere un PC a casa, figuriamoci internet.
E infatti ancora oggi in giro ci sono un sacco di posti così, anche se non ci interessano più e, anzi, li riteniamo spesso malfamati, perché frequentati da minoranze, immigrati e persone che magari faticano ad avere internet sul telefono. Infatti di solito adesso sono anche i luoghi dove comprare tariffe convenienti per dati e chiamate all’estero.
Per molto tempo questi spazi ormai molto rari (oggi basta mettere un wifi e la gente i computer se li porta) hanno rappresentato il fulcro di piccole comunità di appassionati, si sono evoluti nei gaming café (dove trascorrevo il tempo che avrei dovuto dedicare allo studio giocando a Soldier of Fortune) e hanno permesso la creazioni di comunità locali in cui oltre ad andare su mIRC, giocare a Quake o consultare la posta ci si scambiavano informazioni sui siti da visitare, sul linguaggio HTML, sulle ultime novità tecnologiche.
Che poi è la stessa cosa che accadeva in quel periodo nei piccoli negozi di videogiochi, dove i ragazzini provavano, si confrontavano e discutevano. Altro che comunità isolate, altro che facce smorte di fronte a uno schermo, c’è stato un momento in cui certe tecnologie univano le persone, costringendole comunque a un confronto di faccia a faccia, allo scambio di idee.
Forse è per questo che alcuni rimpiangono periodo tecnologicamente inferiori, dove per scaricare una immagine potevano volerci anche 30 secondi. Spesso erano 30 secondi passati sorseggiando un caffè e chiacchierando con una faccia conosciuta.
Dai, mi do del boomer da solo e per oggi la chiudiamo qua.
Se ti va ricordati che puoi leggerti un sacco di bella roba su N3rdcore, seguirmi su Instagram oppure vedere la Rassegna Stanca e le interviste di Star Words su Twitch, siamo ancora in cerca di almeno 80 persone ogni live per essere sempre più fighi. Tutto ovviamente finisce nel canale YouTube.
E se hai qualche idea o spunti per migliorare probabilmente sai come trovarmi.