Warez, cracker e crepuscoli su CD
Di come la pirateria ha dato forma a una scena artistica e dei riti pagani che la rendevano un momento importante della formazione adolescenziale
Ciao a tutti, ecco una nuova puntata di DA DV DGT che arriva di domenica e non di sabato. Perché? Perché ieri mentre stavo scrivendo è esplosa la scheda grafica del mio PC e ho passato il pomeriggio a bestemmiare. Detto questo, eccoci qua con una nuova croccante missiva elettronica piena di spunti tra il nostalgico e lo storico.
Un diavolo rosso con un ghigno stampato in faccia che tiene da dietro per le gambe un angioletto che sta cercando di scappare a cui somministra potenti colpi d’anca. Attorno a loro ruota una scritta che inizia con “Do you feel it angels?” e in alto c’è una scritta viola: Paradox. Il tutto è accompagnato da una musichetta ossessiva che oggi potremmo definire chiptune, ottenuta con il chip audio dell’Amiga.
Questa immagine stampata a fuoco nel mio cervello per sempre (insieme all’idea che Ivan “Ironman” Stewart Off Road fosse un gioco bellissimo) è una cracktro, ovvero una piccola introduzione a un gioco crackato che veniva inserita prima del gioco stesso dal collettivo di hacker che aveva condiviso la copia del gioco. Le cracktro sono una vecchissima usanza in voga dai tempi dell’Apple II e possono essere considerate alla stregua dei graffiti delle varie gang di una città virtuale. Più elaborate erano le cracktro, più il gruppo era figo. Anche perché inserirla nel dischetto era già di per sé indice di abilità.
Erano anche un modo per siglare alleanze, minacciare le gang avversarie o chiunque cercasse di capire chi si nascondesse dietro quei nickname. Col tempo divennero una sorta di espressione artistica a sé stante che si staccò dai videogiochi, mentre i cracker continuavano a sfornare keygen e eseguibili modificati che finivano su internet.
Per me erano soprattutto l’indizio che c’era qualcuno nell’ombra che mi permetteva di continuare a giocare spendendo poco o pochissimo, nomi che sembravano crew hip hop come Paradox, Razor 1911, Skid Row, Future Crew, Paradigm, collettivi di persone sconosciute che da tempo facevano parte di una controcultura che aveva molti nomi, il più gettonato era “The Scene”, la scena, ma questo genere di roba a metà tra l’hacking e il cracking che diffondeva con un certo stile il software pirata veniva di solito etichettato con una parola che ho già usato: Warez, anzi, W4r3z.
La parola Warez nasce più o meno all’inizio degli anni ’90 e oltre a definire tutto il movimento è anche utilizzata per descrivere un generico quantitativo di roba piratata, tipo “ieri ho scaricato un giga di warez!”, ma l’origine del tutto è da rintracciarsi nelle prime BBS, il Bullettin Board System di cui vi ho già parlato in passato e che costituisce la pittura rupestre dell’internet come lo conosciamo.
Pare che il primo gioco crackato con tanto di credit sia stato Galaxian, che in una versione piratata riporta un orgoglioso “Broken by The Koyote Kid” All’interno delle BBS giravano già file copiati di giochi Apple II, Spectrum e Commodore 64 e poi Amiga. I videogiochi all’epoca erano ovviamente protetti da diritto d’autore, ma se ce ne freghiamo oggi, figuriamoci quaranta anni fa. Sono questi gli anni in cui nasce il 1337 5p34k di cui vi ho già parlato.
Era normalissimo trovare in edicola compilation di titoli bootleg che scopiazzavano brutalmente giochi famosi e ai tempi dell’Amiga alcuni negozi di informatica arrotondavano vendendo giochi copiati nel retrobottega, senza che la Finanza se ne preoccupasse troppo, anche se Bill Gates nel 1976 aveva già scritto sui rischi della pirateria nella sua “Lettera aperta agli hobbisti” rei di usare Basic senza pagarlo.
Addirittura, le prime forme di pirateria informatica prevedevano l’invio per posta di dischetti che venivano poi fatti girare e copiare tra gli amici senza troppi problemi. Le cose si fecero sempre più complesse con l’arrivo dei dischetti e questo vale sia per le cracktro, che diventarono progressivamente piccole installazioni artistiche, sia per la diffusione, tanto che negli Stati Uniti cominciarono a girare campagne rivolte a Gggiovani che sfruttavano ovviamente la musica rap come quel piccolo capolavoro camp che è Don’t Copy that Floppy.
Beccatevi questo, pirati.
Un osservatore attento che avesse iniziato a utilizzare software crackato a metà degli anni ’80 e avesse proseguito la sua carriera piratesca per almeno quindici anni avrebbe probabilmente notato che i nomi che si inseguivano erano sempre gli stessi. Tendenzialmente gruppi nati negli Stati Uniti oppure nel nord Europa, dove l’alfabetizzazione informatica e le connessioni internet erano spesso anni avanti rispetto ai paesi confinanti.
Ad esempio Razor 1911 (in codice esadecimale vuol dire 777), probabilmente il più vecchio gruppo di cracker ancora attivo sulla scena, era un gruppo di warez e demo fondato in Norvegia nel 1985 da gente che andava sotto il nome di Doctor No, Insane TTM e Sector 9 e che ha mosso i primi passi sul Commodore 64 e a continuato a offrire giochi anche quando ormai non si spedivano più i dischetti, ma si mettevano in rete direttamente le ISO che poi venivano masterizzate con un nome che vi farà stringere il cuore di nostalgia: Nero – Burning Rom, forse il più importante software di pirateria dai tempi di X-Copy.
Con l’arrivo di una internet più moderna tutto questo si amplificò e diventò improvvisamente un problema, un gigantesco gioco di guardie e ladri che passava dai canali mIRC che distribuivano software pirata, poi ci si mise Napster che trasformò la pirateria musicale in un fenomeno di costume mondiale che fu seguita da eMule, i protocolli di BitTorrent e ovviamente siti che catalogavano byte e byte di crack e keygen.
In un momento imprecisato prima del 2000 entrai anche in contatto con un manufatto che aveva del mitologico, un oggetto mirabolante di cui un semplice ragazzo di Firenze come me aveva solo sentito parlare, quasi fosse leggenda: i CD Twilight.
In quegli anni cercavo un gruppo per giocare a D&D e grazie a un newsgroup trovai un tizio che viveva dietro casa mia, letteralmente dietro casa mia, con cui organizzare una campagna. Questo tizio, di cui non ricordo assolutamente il nome, sembrava l’archetipo dell’hacker di X-Files o di un film pre-cyberpunk. Era costretto sulla sedia a rotelle e quindi riversava sull’internet di quegli anni tutta la sua capacità di movimento. Fu da lui che vidi per la prima volta un film interamente scaricato da internet, Pulp Fiction, e fu da lui che scoprii i Twilight.
Considerate che prima i videogiochi non solo potevano stare tutti su un CD, ma in alcuni casi potevi mettercene più di uno e se fossi stato bravo a comprimere e magari eliminare filmati non necessari avresti potuto mettercene tanti. I Twilight erano esattamente questo: CD e poi DVD pieni zeppi di giochi e programmi perfettamente organizzati e installabili senza fatica. Per chi all’epoca stentava con una connessione telefonica per scaricare gli MP3 erano come il Graal, l’Arca dell’Alleanza e Atlantide compressi in un disco argentato.
I Twilight, imitati in quegli anni anche dalla versione nostrana: gli Italight, iniziarono a circolare dal 1996 fino a metà anni 2000 e venivano venduti al mirabolante prezzo di 20.000 lire, che potevano arrivare anche a 40 quando si passò ai DVD, da bancarelle abusive, edicole compiacenti e negozi di computer che volevano arrotondare, oppure dal tuo amico che aveva gli agganci giusti e te lo portava a scuola. Tutto nasce a Soest, un paesino sperduto nel centro dell’Olanda che conta a oggi poco più di 46mila anime dall’idea di due persone che andavano sotto il nome di De Oorbel (l’orecchino, un riferimento ai pirati) e Idi. La cosa andò avanti finché nel 2001 iniziarono le investigazioni che portarono a condanne di risarcimento per circa 1,5 milioni di euro.
Ma al di là dei Twilight l’evoluzione della scena warez e della pirateria andò di pari passo con quella della velocità di internet, almeno per i pochi fortunati che in Italia potevano permettersi Fastweb e i suoi spettacolari server di eMule chiamati Adunanza in cui, si vocifera, le persone fossero in grado di scaricare un’intera ISO di Max Payne in neanche un pomeriggio. Non come noi plebei che dovevamo lasciare il computer acceso tutta la notte in camera, cullati dalle sue ventole, per poi fissare con rabbia quelle barre di progressione che si riempivano sempre troppo lente, credendo come allocchi al tempo di stima di dowload che segnava poche ore.
Conosco gente che non ha spento il PC per mesi, per paura di perdere l’inerzia della velocità di scaricamente su eMule e Torrent. Roba ai limiti del tecnopaganesimo.
La ricerca di un crack era un’attività complessa che mescolava la spregiudicatezza calcolata dello sminatore con il fiuto dell’archivista e un pizzico del brivido del bungee jumper. Questo perché la scena della pirateria va di pari passo con quella dei creatori di virus e più in generale con la cultura del lol su internet. Scaricare qualcosa a fine anni ’90 voleva dire pescare una carta tra queste opzioni:
· L’archivio compresso è di un videogioco, ma c’è dentro un film Disney
· L’archivio compresso è di un videogioco, ma c’è dentro un film Disney che in verità è un porno
· L’archivio ha una password è quella password è in un sito che ti chiede di installare del malware
· Il gioco è ok ma il crack lo devi cercare in siti dove passerai la maggior parte del tempo a chiudere finestre che si aprono da sole mentre l’antivirus butta gli occhi all’indietro e inizia a recitare litanie
Insomma, era una sorta di gioco nel gioco che col tempo si è affievolito sempre di più, almeno per me, anche se il proliferare di giochi connessi a internet e i molti sconti hanno ridotto la pirateria dei videogiochi, mentre quella dei film e delle serie tv ha visto un nuovo ritorno di fiamma a causa del proliferare di servizi di streaming a pagamento. Dal conto mio credo che il momento in cui sei disposto a smettere di occupare il tuo tempo a craccare del software sia per la mia generazione un indice affidabile di invecchiamento.
Questo è tutto, se ti va ricordati che puoi leggerti un sacco di bella roba su N3rdcore, seguirmi su Instagram oppure vedere la Rassegna Stanca e le interviste di Star Words su Twitch, dai che c’è da riempire il canale con almeno 80 persone ogni live!
E se hai qualche idea o spunti per migliorare probabilmente sai come trovarmi.