Una volta qui era tutto MySpace
Brevissima storia dei social network, quando ancora nascevano e morivano nello spazio di qualche anno, rivoluzionando nel frattempo le nostre possibilità di espressione
Benvenuti alla nuova puntata di DA DV DGT, la newsletter dell’internet che era. Se stai leggendo queste righe posso solo dirti GRAZIE, onestamente non pensavo sarei andato avanti così a lungo, ma la crescita del pubblico mi sprona a farlo.
D’altronde, come vedremo oggi il pubblico su internet è la vera cosa che conta.
Sapete quali sono due nomi importanti per la storia dei social network? Benjamin Sun e Omar Wasow
Chi????
I loro nomi probabilmente non vi dicono nulla e continueranno a farlo dopo una veloce ricerca su internet, ma molti anni fa Sun e Wasow avevano già intuito le potenzialità di questo giocattolo pieno di cose strane che si chiama internet.
Nel 1999 Wasow aveva da poco cambiato lavoro, passando dal gestire New York Online, uno dei primi internet provider, al web design e alla creazione di contenuti. Nel 1995 Nesweek lo definì “una delle persone più interessanti da tenere d’occhio nel cyberspazio”, almeno così dice la sua scarna pagina su Wikipedia.
Sun invece aveva fondato AsianAve, un piccolo sito rivolto alla comunità asiatici americani lanciato nel 1997 con un discreto successo. Proprio questo successo ha fatto scattare in Sun l’idea di parlare con Wasow un paio di anni dopo.
Nel 1999 la parola social network aveva senso come “selfie” o “instagramer” anche se a ben vedere i primi segni di quello che sarebbe arrivato c’erano già. Non erano social network ma alcune comunità erano comunque reti sociali, spesso legate a un interesse in comune. Come molti siti in quel periodo AsianAve era un “portale”, ovvero un fritto misto.
L’idea di ogni portale era quello di offrirti un po’ di tutto: contenuti editoriali, link catalogati, servizi di vario tipo e, soprattutto, bacheche e forum dove scambiare idee, rimorchiare e creare una propria pagina personale. AsianAve crebbe discretamente negli anni successivi, anche considerando che era gestito come se fosse un progetto casalingo, quasi amatoriale.
Dopo un anno, aveva già 50.000 utenti ed era anche diventato uno strumento di pressione politica da parte dei suoi iscritti, pronti a segnalare eventuali rappresentazioni stereotipate delle popolazioni asiatiche. Nel 1999 una raccolta di messaggi di protesta su AsianAve portò Skyy Vodka a cancellare una pubblicità ritenuta razzista.
E voi che pensavate che le polemiche su internet fossero un fenomeno recente.
L’idea di Sun era replicare tutto questo con una comunità ancora più grande, quella degli afroamericani, per questo chiese aiuto a Wasow e nacque BlackPlanet.
BlackPlanet era costruito con gli stessi principi di AsianAve, ma la sua curva di crescita fu ancora più rapida. AsianAve aveva festeggiato il milione di utenti dopo più di due anni, BlackPlanet ci mise pochi mesi e tutto grazie a un fortissimo passaparola, che poi è il grande potere di una nicchia: c’è così tanta gente ignorata là fuori che per avere successo basta trattarla con rispetto.
Col tempo Wasow si ritrovò a gestire una comunità in forte crescita, molto affezionata e ricca di idee. Tutto ciò che doveva fare era pescare dai molti suggerimenti degli utenti riguardo ciò che avrebbero voluto trovare nel sito: una chat migliore, forum con più funzioni, una pagina per le offerte di lavoro, una sezione dedicata agli appuntamenti più efficace nel trovare l’anima gemella.
BlackPlanet fu uno dei primi siti a permette di connettere due pagine utente per mostrare poi una lista di amici sul proprio profilo. Oggi è normale, all’epoca era qualcosa di molto simile alla scoperta della cottura dei cibi.
Dopo Geocities, BlackPlanet fu uno dei primi siti a spingere ancora più in là le possibilità della propria identità digitale, mostrando un concetto rivoluzionario: internet come strumento di connessione umana, un luogo in cui molta gente passa come se fosse un luogo fisico di cazzeggio, chiacchiere e conoscenze, ma soprattutto lo fa per metterci qualcosa di suo.
Il successo era alla portata di chi avesse concesso agli utenti ampi mezzi di espressione. Per questo gli iscritti di BlackPlanet passavano un sacco di tempo a personalizzare il proprio profilo personale ed è probabile che per molti quello sia stato il primo contatto col linguaggio HTML, un contatto che magari ha ispirato una carriera.
Quel successo portò alla nascita di molti spazi simili, la maggior parte dei quali ovviamente sparivano poco dopo. Uno che invece finì per restare fu Friendster.
Friendster già dal nome era figlio del suo tempo: l’unione di Friend e Napster e fu un altro sito a crescere vertiginosamente in poco tempo: parliamo di tre milioni di utenti in una manciata di mesi nel 2002. Ormai la moda dei “siti in cui fare amicizie che ancora non chiamavamo social network” era esplosa del tutto.
Di fatto era BlackPlanet spogliato di tutto ciò che non riguardava le connessioni tra utenti e pensato per una comunità più ampia e, ovviamente, fu sfruttato come la maggior parte delle cose su internet per rimorchiare.
Dopo solo un anno di vita Google cercò di comprarselo per 30 milioni, ma l’offerta fu rifiutata. Nonostante il sito soffrisse di tantissimi problemi tecnici che col tempo ne fiaccarono lo sviluppo, per qualche anno Friendster è stato uno dei siti più visitati su internet e per molto tempo ha vivacchiato grazie alle comunità del sud-est asiatico, nei quali era molto popolare.
Il fatto di essere stato uno dei primi gli ha permesso anche di ottenere parecchi brevetti, tipo le persone che ti potrebbero piacere in base ai tuoi interessi, che poi Facebook ha comprato qualche anno dopo, quando la festa era finita e Friendster diventò per un po’ di tempo un sito di giochi online, prima di chiudere del tutto.
Ma già dopo un anno di vita Friendster aveva ispirato i suoi più acerrimi rivali, un gruppo di impiegati di eUniverse che cercavano nuove idee su cui investire. eUniverse era gestita da Brad Greenspan, che aveva miracolosamente superato l’inferno della bolla speculativa di internet lavorando nella pubblicità, gestendo newsletter e creando la tecnologia dietro le pubblicità di Kazaa. Questo gli aveva permesso di accumulare un database di 38 milioni di e-mail. Roba che il Garante per la Privacy avrebbe volentieri usato una macchina del tempo per tornare indietro e soffocarlo con un cuscino.
Un giorno due nuovi arrivi di eUniverse, Chris DeWolfe e Tom Anderson mostrarono a Greenspan questo nuovo sito che stava andando da Dio: Friendster. Dopo neanche un anno nell’agosto del 2003, una prima bozza di un nuovo sito stava nascendo nel dominio di un defunto servizio di storage online: Myspace.com.
DeWolfe e Tom (sì, QUEL Tom) progettarono MySpace per essere la via di mezzo tra Friendster e BlackPlanet, ovvero uno spazio di espressione libera come il secondo, ma con un pubblico più vasto, come il primo. Poi si fecero prendere la mano e cercarono di ottenere il social network perfetto prendendo un po’ da tutti quello che secondo loro poteva funzionare, creando una sorta di Frankenstein.
Potevi crearti una pagina personale modificabile con HTML, ma anche mostrare la tua lista amici, poi arrivarono il player musicale, i glitter, le foto, le gif animate, la follia kitsch che ieri ci illuse, che oggi ci illude, o Tom.
La cosa buffa è la possibilità di modificare il codice delle pagine era inizialmente un bug, ma il successo fu tale che nessuno si sognò di correggerlo.
Quando ti registravi, MySpace era poco più di una tela vuota: un po’ di informazioni personali, la lista degli amici, una foto profilo e qualche link. Ma come ogni tela vuota, rispecchiava la personalità di chi decideva come colorarla. Nel suo momento di maggior espansione MySpace era un universo parallelo dove potevi trovarti di fronte a due esperienze completamente differenti nel giro di un click.
C’era chi spendeva ore a creare contenuti elaboratissimi e chi trattava la propria pagina come fosse una Smemoranda in cui incollare sticker di Diddl, citazioni di Cohelo e immagini di lupi che ululano alla luna. Alcuni cambiavano le pagine di continuo, altri il meno possibile e quasi tutti le riempivano di musica sparata a tutto volume che improvvisamente ti usciva dalle casse, in un curioso mix di Metallica, N’Sync, Puff Daddy e Nu-Metal.
Myspace decise in molto molto intelligente (anzi, furbo) di porsi allo stesso livello della sua comunità, puntando tutto sulla figura di Tom Anderson e sulla sua immagine da genietto nerd un po’ goffo in maglietta. Anche nelle dichiarazioni ufficiali Tom non era mai qualcosa diverso da sé stesso ed è stato un proto-geek rispetto alla filosofia odierna basata sulla disintermediazione e sul mostrare le proprie passioni senza imbarazzo.
Tom diventò anche l’ennesimo simbolo del classico smanettone che in cameretta crea un sito di successo in una nottata di coding, ma è sempre stato un progetto ampiamente finanziato e pianificato da eUniverse e poi gestito dalla società successiva, Intermix Media, non una fiaba da Silicon Valley.
Ah qualche anno dopo si scoprì anche che Tom aveva investito nella creazione di un sito porno specializzato in ragazze asiatiche e che dovette lavorare da casa per qualche mese perché era ossessionato da una ragazza asioamericana della contabilità. Ma fu tutto messo a tacere. Ops.
Il successo di MySpace coincise con la crescita di internet in Italia e per la generazione che stava arrivando all’adolescenza e post adolescenza in quegli anni fu un liberatorio grido di libertà, lo stesso grido di chi qualche anno prima aveva aperto un sito su Geocities, un grido che oggi molti hanno dimenticato quando criticano TikTokers e ragazzini che si esprimono sul web.
I ragazzi anelavano la possibilità di esprimersi, volevano dire chi erano e identificarsi attraverso ciò che leggevano, vedevano e, soprattutto, ascoltavano. Anche perché, sempre in Italia proprio in quegli anni MTV, che si era da poco trasferita nelle frequenze di TMC 2, aveva ormai fatto breccia nel cuore di milioni di ragazzi, offrendo a ciascuno di loro qualcosa in cui identificarsi.
Sono gli anni in cui tutti iniziamo a farci selfie, solo che la maggior parte dei telefoni non ha una fotocamera frontale, quindi internet viene invasa dalle piastrelle dei nostri bagni, scorci di asciugamano, lampi di ceramiche. Poco sotto ecco un esempio del vostro affenzionatissimo, nel bagno di un pub.
E poi ovviamente arrivarono le celebrità, i vippettini da celebrity show e soprattutto i cantanti, perché se avevi una band dovevi essere su MySpace, che sarebbe diventato il più grande volantino sul tuo gruppo, con tutte le foto dei concerti, le date di quelli successivi, le demo.
Fu il momento in cui per la prima volta si cominciò a pensare alla rete come a un enorme talent show che avrebbe reso famosi i più bravi, i più fortunati, quelli che ci credevano di più, che fossero band o blogger dalla penna tagliente. MySpace cambiò il mercato musicale almeno quanto Napster, rivoluzionando completamente la promozione degli artisti emergenti e non e creando uno dei primi spazi di contatto diretto tra artista e fanbase.
In effetti quel periodo ha legato tantissimo internet e la musica: era la cosa che i giovani cercavano di più e la più facile, dopo un documento, da scambiare online.
Ve lo ricordate Soulja Boy? Un ragazzino con magliettone larghissime con il nome scritto col bianchetto sugli occhiali da sole? Fu uno dei primi artisti a sfruttare con successo MySpace (e YouTube), trasformandolo nel fulcro della sua campagna di promozione e diventando un vero e proprio caso da studiare su come il mondo della musica stava cambiando pelle. Probabilmente se dico “Artic Monkeys” vi sentite meno in imbarazzo eh? Beh anche loro sono nati praticamente su MySpace, per tantissimi ascoltatori italiani ne sono praticamente il simbolo.
MySpace continuò a crescere fino a surclassare la concorrenza e ne 2005 fu comprato dalla NewsCorp di Rupert Murdock a Giugno. Qualche mese prima DeWolfe si incontra con Zuckerberg per discutere la possibilità di una fusione, ma i 75 milioni di dollari chiesti da Zuck bloccano la trattativa. Intanto il sito viaggia sulle 13 milioni di visite mensili. Arrivarono programmi TV, radio, collaborazioni di ogni tipo e soldi a palate.
Poi, come molte cose su Internet, MySpace iniziò il suo lento declino.
Vuoi perché esteticamente stava diventando vecchio, vuoi perché per i continui problemi tecnici e la lentezza di una infrastruttura che non era pensata per quel volume di traffico, vuoi perché le nuove generazioni volevano altro. Tutto finì come era iniziato e molti si spostarono verso uno spazio con meno bug e più funzioni, chiamato Facebook.
Come quando cresci e un bel giorno i giocattoli non ti piacciono più, MySpace passò dall’essere il “the place to be” a qualcosa di imbarazzante e poi nostalgico.
Tuttavia MySpace non è morto eh? Adesso è un mashup tra un sito di informazioni e un social network, come ai bei tempi dei portali, come BlackPlanet, ma onestamente dubito sia molto frequentato.
Nessuno pensava che saremmo andati via da MySpace, e il suo declino è là a ricordarti che se è successo una volta potrebbe succedere di nuovo. Quegli anni ci ricordano anche il momento in cui abbiano iniziato a vivere intensamente le nostre vite online, ma anche che non possiamo affidare a internet la nostra memoria. Qualche anno fa l’intero database di foto e canzoni è stato quasi interamente cancellato per errore durante un cambio di server. Per alcuni è stato un sollievo, per altri un colpo al cuore.
Che ti piaccia o no, Internet ricorda esattamente ciò che vuole ricordare, perché Internet, come la natura non è tuo amico, non è una entità senziente; non eliminerà i tuoi imbarazzanti selfie sgranati né salverà le demo della tua band del liceo solo perché lo desideri. Internet è solo Internet: un concetto insensibile, ribollente e gorgogliante che sopravvive grazie a dollari aziendali e dati personali. E quando non sarà più utile a Internet continuare a ospitare i tuoi ricordi, siano essi buoni o cattivi, semplicemente smetterà di farlo, così come noi smettiamo di visitare un sito che l’anno prima era il centro delle nostre vite.
Ovviamente anche oggi ero partito con l’idea di un pezzo veloce e ho scritto troppo
Se ti va ricordati che puoi leggerti un sacco di bella roba su N3rdcore, seguirmi su Instagram oppure vedere la Rassegna Stanca e le interviste di Star Words su Twitch.
E se hai qualche idea o spunti per migliorare probabilmente sai come trovarmi.